2011 - Fagagna (UD)
"Schegge quotidiane"
Schegge di quotidianità.
E' una festa oggi questa mostra. Si propone come un caleidoscopio di forme, di colori. Tutto cattura lo sguardo, induce al sorriso, la ricerca formale è accurata. Ci si incanta sui risultati finali per poi indulgere nella ricerca dei particolari che hanno contribuito alla forma complessiva. Vi si leggono ironia e battute fulminee, anche l'indignazione è mediata dall'estetica. Niente improvvisazioni, tutto è cercato, analizzato, curato, ordinato.
Eppure con questa mostra, Pecile ci parla del suo contrario, ci parla di entropia, ossia della misura del disordine di un sistema. Certamente in fisica, ma anche di un sistema sociale, di una mente, di un avvenimento. Entropia per introdurre il concetto di limite in un sistema chiuso qual è il mondo, ma anche per interpretare comportamenti sociali, economici e politici.
Passiamo gran parte della nostra esistenza a contrastare il disordine, nella nostra casa e nella nostra vita. Per non essere disturbati nell'ambiente in cui viviamo da sostanze o fatti indesiderati li disperdiamo quanto più lontano possibile, e così facendo creiamo nell'ambiente circostante un disordine ancora maggiore di quello che avevamo in casa.
Viviamo nell'era della globalizzazione, ossia dell'abbattimento delle differenze. Tutto tende a livellarsi, le strutture architettoniche come le forme d'arte, un centro commerciale è uguale a Roma come a San Francisco, in un aereoporto non sai in che paese ti trovi, anche la varietà delle lingue tende a scomparire, persino i programmi televisivi sono gli stessi in tutto il mondo.
Ossia, come l'entropia in natura tende a livellare la temperatura dell'Universo, così l'entropia culturale tende a livellare le conoscenze; come nei sistemi materiali tutte le fonti di energia degradano in una unica che si disperde nell'Universo, così tutte le culture degradano in una unica, planetaria, omologante.
Produrre, consumare, merci e notizie, sprofondare sempre più in quel disordine esistenziale dal quale tentiamo di emergere con grossolani e disperati tentativi di "mettere ordine", sembrerebbe ormai una via senza ritorno, e gli esseri umani, ormai largamente consapevoli di non essere in grado di dominare il mondo, non riescono ancora a fare della propria debolezza strutturale un pensiero forte.
Pecile, con questo suo lavoro, entra a piede teso in queste tematiche, nel dibattito al quale tutti siamo chiamati a partecipare, sul futuro del pianeta e della specie umana. Vi entra con la percezione del ruolo che un operatore culturale o artistico può svolgere in questa epoca, ossia fare attenzione, cogliere ed evidenziare relazioni, tra uomo e ambienti, tra essere umano ed essere umano.
Inizia dal titolo, schegge di quotidianità. Sono schegge di plastica quelle che lavora, riassembla e trasforma in scultura. Sono schegge di oggetti quotidiani, che maneggiamo infinite volte in un giorno, rapidamente obsoleti per la quotidianità ed eterni per l'ambiente. Sono schegge di notizie quelle che digerisce ogni giorno e ci restituisce attraverso le schegge di plastica.
Il fastidio che proviamo per il vaniloquio quotidiano ci viene dall'artista comunicato in forma antiretorica, Pecile fa attivismo culturale, crea scultura sociale, rielaborata ogni volta in relazione alle caratteristiche del contesto nel quale si trova ad operare. Tutto ciò che colpisce, disturba o solo chiama l'attenzione si fa scultura, è la quotidianità dell'informazione che ci viene proposta. Quella quotidianità mai ferma, mai con possibilità di riflessione, viene fissata nella materia attimo per attimo, contemporanea alla notizia stessa.
Così, di notizia in notizia, seguendo le didascalie che accompagnano la mostra, arriviamo all'oggi, ai disobbedienti, dove chi disobbedisce è colui che non nasconde la testa nella sabbia, o dove la crisi economica non ci fa cadere dal trespolo ma fa sì che sia il trespolo stesso a cadere.
Pecile non sposta il disordine, non pulisce la casa a danno altrui, ricicla la plastica come le notizie, e ne fa opera d'arte contemporanea.
La plastica, quotidiana e onnipresente, la plastica che ha permesso ai poveri di possedere oggetti prima destinati ai soli ricchi, la plastica benedetta che ha tolto peso alla fatica quotidiana delle donne, la plastica oscena che abbruttisce ogni paesaggio, la plastica che costa meno di nulla, ma che vale più della vita umana, la plastica figlia del petrolio in nome del quale si combattono tutte le guerre del mondo, la plastica memento di quel che siamo e di quel che non vogliamo continuare ad essere, è la materia alla quale Pecile assegna il compito della riflessione etica ottenuta attraverso l'estetica.
Rifà bella la materia di per sé brutta, ci riporta al pensiero estetico, all'abitudine a fare valutazioni estetiche consce nella vita di tutti i giorni.
Poiché considerare l'aspetto estetico del mondo non è solo affare di artisti, ma parte importante nelle decisioni che investono la nostra esistenza, è meglio iniziare presto, sin da piccoli.
E allora l'artista abbandona l' opera come presentazione del suo proprio mondo, torna ad osservare con attenzione, cerca le relazioni che legano gli elementi, che permettono la comunicazione, e di questa attività nutre il suo fare artistico, fa sì che il lavoro che nasce da questa attività crei gli strumenti per ritrovare l'attenzione perduta.
Pecile si confronta con i bambini in questo compito, rinuncia alla sua opera, pretende che arte ed estetica non siano solo per iniziati, ma facciano parte della quotidianità. E allora le opere dei bambini vanno in mostra, con pari importanza e dignità, non sono giocattoli di plastica da buttare, sono oggetti di valore, sono sculture. A quelle opere Pecile ha imprestato la tecnica, l'esperienza, ma il pensiero è collettivo, condivisa è la riflessione sui valori, la discussione sull'ambiente, sui beni comuni, sulla vita.
I bambini vedono prima degli adulti, colgono l'ambiguità della forma, parte essenziale dell'opera di Pecile. I bambini vedono un pesce quando si fa ondeggiare una bottiglia davanti ai loro occhi, vedono un uccello a partire da una forchetta, un topo a partire da un cucchiaio. Vedono quello che vede anche l'artista che conserva ancora lo sguardo del bambino.
La loro Arca nasce da un sentire collettivo, da uno sforzo effettuato da attori con ruoli e capacità differenti, i bambini stessi, le maestre, lo scultore: si fa scuola, si fa educazione, si fa arte, si fa cultura. Bambini e adulti scambiano saperi e conoscenze, pensieri e mondi si incontrano, il gioco della vita è aperto a tutti, senza barriere.
Interscambio culturale, si chiama, ma qualcuno ha una marcia in più, ed è quella dello sguardo, del punto di vista. I bambini guardano, per ovvi ed ineludibili motivi, dal basso in alto, come dal basso in alto ci invitano, quasi ci obbligano a guardare le costruzioni aeree che Pecile privilegia per le sue installazioni. Si parte da un punto dato e poi si viaggia, nello spazio e nel tempo, ma sempre verso l'alto, verso il fuori, verso l'altro, sconfinando il presente e il noto.
E' lo sguardo di chi tutto deve vedere, apprendere, conoscere. E' uno sguardo umile, senza l'arroganza di chi crede di sapere. E' uno sguardo senza confini, rivolto all'infinito, non circoscritto all'ombra del proprio corpo.
E' a questi sguardi, ai bambini e alle loro maestre, ed allo scultore che ha condiviso con loro il suo percorso, che voglio dedicare alcuni versi di un antico canto di origine azteca, che a ben pensarci sarebbe stato in grado da solo di descrivere questa mostra, il pensiero che l'ha prodotta e le opere che la compongono.
"L'artista è umile, copioso, vario, irrequieto.
L'artista è sincero, pronto, studia, è abile.
Parla col suo cuore, pensa, ricorda.
L'artista lavora allegramente,
calmo, con cura, secondo la verità,
compone le cose, crea,
dispone con ordine il mondo,
lo fa armonioso, lo accorda."
alfredo.pecile@libero.it