2005 - San Giorgio della Richinvelda (PN)
Provesano ~ "Non è Noè"
Nelle culture antiche il sacro aveva una funzione pratica e coerente che investiva ogni cosa nella sua leggibilità: nominare l'esistente, dar significato e chiamare l'eterno ciclo della vita e della morte era una esperienza concreta.
Queste antiche culture svilupparono in America poi e prima in Africa, Asia, Europa un sistema di linguaggi mitici e rituali al fine di affermare, segnalare e quindi rendere evidente ed esperibile il movimento ciclico dell'esistente. Esistere della natura e con l'uomo, l'esistere comune.
Nei linguaggi di queste antiche culture, fra loro correlate, l'espressione sciamanica era centrale.
L'esperienza sciamanica, cioè la conoscenza coerente e consapevole ma in estasi del viaggio di andata e ritorno fra la vita e la morte, fra estate e inverno, notte e giorno, dove ogni cosa può essere evocata.
Questa esperienza nel mondo dei malati e dei morti era accompagnata dal viatico che il mondo regalava allo sciamano ed alla comunità: piante, funghi, rospi.
Il rospo, spesso associato ai funghi, è presente nell'opera dei narratori rupestri africani, asiatici, europei ed americani, ed è tuttora presente in quel tesoro ineludibile per la nostra conoscenza che sono le lingue minori e minoritarie, locali, popolari delle nostre culture tradizionali, non legiferate dagli standards della comunicazione statuale e di massa.
Il rospo, il fungo, alcune piante rituali, medicinali, enteogene erano interpretate da queste culture come regali che la terra offriva ad ogni comunità per trascendere l'esperienza individuale ed attingere alle radici nascoste d'ogni cosa il racconto dell'altrove.
E' il vino dionisiaco che riafferma il calore del sole orientale nella Grecia democratica di Atene senza escluderla ma alterandone i piani in una consapevolezza piena del percorso rizomatico della transculturalità (e pre-culturalità).
E' il vino che offre la vita a Noè perché ebbro possa irridere le menzogne di un Dio dispotico e impaurito.
I rospi che hanno invaso la casa di Alfredo allagandone preventivamente la cantina lo hanno scelto forse per questo.
No, non per quei vini schietti che sono il vanto della sua cantina, ma per indicarci che l'antica strada dell'esperienza totale, a cui allude l'antica pedagogia dei sassi e delle pietre, è ancora percorribile in tutta la sua pregnanza.
La vacuità della cultura capitalistica che chiede di trasformare ogni cosa in produzione di denaro, lavoro, benzina, le culture del dominio con il loro corollario di orrore non sono che una patina velenosa di immondizia che possiamo rimuovere dalla superficie del mondo.
Il mondo, una grande palla che gira attorno al sole, dal quale comincia a sbucare una coda, poi due zampe, poi quattro.
I poeti come Alfredo con questa strana palla, con queste strane forme giocano a calcio.
alfredo.pecile@libero.it