Le Divinità di un secolo da dimenticare 2002
Quale sia il secolo da dimenticare, possiamo liberamente decidere, lo scultore non lo proclama. Le divinità di questo indeciso secolo però ci lasciano pochi dubbi.
E’ Aloc Acoc il dio primevo, colui che decide, colui che crea, colui che può. E’ Aloc Acoc che si mostra per primo agli umani, che li convince che l’acqua insapore, inodore e incolore è noiosa, che tutto è effimero, che tutto si può creare, usare, utilizzare, produrre, consumare, gettare. E’ Aloc Acoc che pretende ed ottiene adorazione.
							    Affini di Aloc Acoc assurgono anch’essi a rango  divino, ed Etirps cerca e trova i suoi accoliti, seppur in misura secondaria.
							    Via via tutte le entità più o meno volatili,  più o meno effimere, dei minori, escono dai luoghi un tempo assegnati ed  ascendono al Panteon.
							    E così Ecirtaval Ovisreted, Etnedibromma,  Aniggednac ed altri aiutano a dare sapore e colore all’acqua, la fanno vibrare  di mille arcobaleni, la fanno spumeggiare di cascate di bollicine translucide  e profumate.
							    E noi, gli umani, proni al suolo, eternamente  ed inesaustamente grati obbediamo ed adoriamo.
L’intenzione di “gag” o “battuta” è palese nelle intenzioni dello scultore, a partire dalla scelta di capovolgere i nomi dei prodotti creando così credibili nomi per improbabili divinità, dove la Coca Cola diventa il Dio Aloc Acoc e l’ammorbidente diventa la Dea Etnedibromma e via proseguendo.
Ma la rappresentazione plastica delle divinità esce dalla pura dimensione umoristica, seppur conservandone alcuni tratti. E’ costruzione accurata, sempre in una visione antropomorfica; è la ricerca della ieraticità nei personaggi, di una vaga malvagità abbinata alle caratteristiche della rappresentazione del divino sotto forma umana presente in diverse culture, in particolare nella cultura amerinda.
E’acuta ed attenta riflessione sulla forma originaria; il design iniziale dei contenitori utilizzati per le sculture viene studiato accuratamente, dalla forma più o meno accattivante usata per convincere all’acquisto alla tattilità della materia, dalla forma delle chiusure/aperture alla facilità prensile del contenitore.
							    Gli infiniti accorgimenti usati per la  coercizione all’acquisto vengono estrapolati e trasformati negli inquietanti  particolari che alla fine trasformano le forme antropomorfe in idoli  iconoclastici, simboli di un mondo a rovescio come i nomi delle divinità.
							    Se il primo intento dello scultore è quello del  riutilizzo del materiale, già lodevole per i richiami all’anticonsumismo ed  alla lotta agli sprechi ed all’inquinamento ambientale e mentale, resta di  approccio più problematico il secondo intento, quello di porsi e porci  interrogativi.
Qual è il valore delle cose? E’ un valore d’uso, un valore di consumo o ogni cosa ha valore intrinseco? E chi e perché assegna un valore alle cose? Quando una cosa ha un valore? Qual è il metro di misura escludendo il valore denaro?
							    Domande importanti, alle quali tentare di dare  risposte pensate è bisogno imperativo non solo per l’arte e gli artisti, perché  il chi e come, il valore ed il peso, vengono assegnati in eguale illogica  scansione a tutto ciò che vive in questo pianeta e il valore, si sa, può  cambiare.
							    Le Divinità di un secolo da dimenticare non danno risposte, pongono  domande.
alfredo.pecile@libero.it